Cos’è Open Fiber? Qual è la sua mission?
«Open Fiber è un operatore infrastrutturale di telecomunicazioni, il che vuol dire che la sua missione è portare una rete fissa in fibra ottica fino a casa degli italiani raggiungendo 20 milioni di abitazioni in Italia. Fino a casa perché la nostra tecnologia è l’FTTH, cioè fiber to the home (FTTH connection). Per unità immobiliare noi intendiamo l’abitazione privata, la piccola impresa, la grande impresa, l’artigiano, il negozio: cioè tutti quei soggetti che possono far richiesta di una connettività diretta.
Oggi noi operiamo in due modalità, come operatore privato e come concessionario dello Stato. Come operatore privato lavoriamo in circa 271 città, 200 delle quali sono già completamente connesse. Come concessionario dello Stato operiamo sulle famose aree bianche, ovverosia le aree a fallimento di mercato che sono quelle zone del Paese – tipicamente aree rurali, case sparse, luoghi ameni – dove nessun operatore ha dichiarato valesse la pena investire.
Il nostro target sono 20 milioni di abitazioni – divise tra aree nere e aree bianche – e ad oggi siamo arrivati (alla fine del mese di gennaio, ndr) a 11 milioni di unità immobiliari connesse».
Esistono ancora dei luoghi del nostro Paese in cui non c’è connessione Internet. Qual è il vostro progetto per garantire livelli minimi di connettività su tutto il territorio nazionale?
«Ci si immagina che l’Italia sia un Paese “stracivilizzato” e fortunatamente civili lo siamo, digitalizzati un po’ meno perché gli investimenti in tecnologie tanto evolute quanto la fibra fino a casa non ne sono stati fatti. E quindi noi oggi paghiamo un gap infrastrutturale.
Immaginate la complessità di un progetto del genere che, necessariamente, si dispiega nel tempo e ha una serie di complessità importanti. C’è un problema di permessistica: Open Fiber, a conclusione del suo progetto, avrà richiesto 100mila permessi.
L’importante è mantenere l’obiettivo finale: 20 milioni di unità immobiliari connesse a inizio, metà del 2023».