Il 2023 sembra prospettarsi come un anno decisamente favorevole per il nostro Paese.

Il settore del Made in Italy all’estero e quello del turismo si stanno confermando trainanti per la ripresa economica dell’Italia, tanto da far crescere il PIL al di sopra delle aspettative con un’espansione dello 0,5% rispetto al trimestre precedente. Una crescita sostenuta sia da un incremento delle esportazioni – in particolare verso Germania, Francia, Stati Uniti, Svizzera e Regno Unito – che da un incremento nel settore dei servizi e del turismo.

Settori merceologici in crescita e aumento delle insolvenze

Dal trade survey 2023 condotto da Allianz Trade in cui si è analizzato il sentiment delle imprese di 7 paesi (Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Spagna e Polonia) in materia di commercio globale, è emerso che circa il 70% dei dirigenti di 3.000 aziende esportatrici si aspetta un aumento del fatturato generato dall’export mentre un’impresa su due prevede un moderato aumento del fatturato, compreso tra il 2% e il 5%, rispetto alla crescita a doppia cifra registrata nel 2022.

A finanziamento dell’export e per fronteggiare l’aumento del costo del denaro le aziende intervistate hanno dichiarato di utilizzare tre principali metodi di pagamento: 

  1. la rimessa diretta;
  2. il pagamento differito;
  3. il buy now pay later.

È invece in diminuzione la loro propensione verso nuovi mercati a favore del consolidamento di quelli esistenti. Tra le motivazioni di questa scelta ci sono problemi legati alla logistica, che tre imprese su quattro identificano come fattore di impatto sul commercio, uniti ad un sentimento negativo legato alla recente crisi energetica che trascina un aumento dei relativi costi.

Tra i fattori positivi, che invece aprono uno spiraglio verso potenziali accordi con l’estero, si possono citare una progressiva digitalizzazione delle imprese – fondamentale nell’adattamento delle filiere e nella tempestiva risposta agli shock – e la volontà di abbracciare una transizione energetica a lungo termine, citata da circa l’85% delle imprese intervistate. In questo contesto un gran numero di imprese in Italia, circa il 50%, intende comunque esplorare nuovi mercati nel 2023, tuttavia riscontra due tipi di criticità: il gap informativo e la necessità di politiche per la formazione della forza lavoro, una criticità segnalata anche da aziende spagnole tedesche e francesi.

Dagli ultimi dati delle imprese italiane tuttavia emerge un aumento delle insolvenze del +7% nel 1° trimestre del 2023, una situazione confermata anche dalle analisi mensili della Camera di Commercio delle Marche (CCM) che, basandosi sui dati per settore, mostra come più colpiti siano il manifatturiero, i servizi amministrativi, il commercio, e le costruzioni mentre settori come l’edilizia, la logistica e l’ospitalità mostrano una buona tenuta in termini di fallimenti aziendali.

In Italia si prevede un aumento delle insolvenze delle imprese del 24% a 8.900 casi nel 2023 e di un ulteriore 10% nel 2024 per un totale di 9.800 casi. Una situazione che non risparmia nemmeno i principali partner commerciali dove si stima che metà dei Paesi analizzati superi i livelli di insolvenza pre-pandemici nel 2023, e che invece 3 su 5 lo faranno nel 2024.

In questo contesto è quindi necessario guardare ai mancati pagamenti sull’export con maggiore cautela, perché l’impatto delle insolvenze sulle filiere e sui fornitori potrebbe essere molto rilevante.

La questione demografica e il mercato del lavoro

Buone notizie arrivano dal mercato del lavoro dove il tasso di disoccupazione aggregato ha raggiunto il suo minimo storico a marzo 2023 (7,8%) e l’occupazione è tornata ai livelli pre-pandemia. I lavoratori più svantaggiati che erano usciti dal mercato durante la crisi (donne, anziani e lavoratori poco qualificati) stanno tornando gradualmente grazie alle solide intenzioni di assunzione da parte delle imprese in Italia e per il biennio 2023-24 ci si aspetta un limitato aumento della disoccupazione.

Il problema della denatalità tuttavia rimane di primaria importanza e porterà ad una riduzione della popolazione in età lavorativa che si prevede diminuire da 36,1 milioni a 29,8 milioni nel 2050 in contrapposizione ad un aumento del numero di pensionati che passerà da 12,7 milioni a 14,6.

Nonostante l’aspettativa di vita per un neonato sia di 82,1 anni per gli uomini e di 86,1 anni per le donne, dati che collocano l’Italia all’ottavo posto a livello mondiale e al quarto in Europa, la situazione demografica italiana ci posiziona agli ultimi posti delle classifiche con un tasso di natalità tra i più bassi d’Europa con una media di 1,25 figli per donna.

Le donne diventano madri a circa 31 anni rispetto ad una media di 29 calcolata sui paesi EU sia per motivi personali come la mancanza di un partner adatto o aspirazioni di carriera elevate ma anche per altri fattori come la mancanza di un reddito stabile e la bassa crescita dei salari. Un dato che si collega perfettamente a quanto emerso dall’indagine di Allianz Trade: i giovani italiani a 3 anni dal completamento degli studi registrano bassi tassi di occupazione (meno del 60%) rispetto al 79% della media UE, a cui si va ad aggiungere la difficoltà della ricerca di un lavoro stabile.

L’Italia è inoltre uno dei pochi Paesi dell’OCSE in cui il diploma rappresenta il livello più alto di istruzione tra i 25- 64enni, una situazione destinata a cambiare negli anni a venire a causa dei cambiamenti nell’ambiente di lavoro e dell’avvento dell’automazione e dell’Intelligenza Artificiale. In questo nuovo scenario la necessità di manodopera poco qualificata è destinata a diminuire e porterà alla necessità di elevare il livello di istruzione dei nuovi nati rispetto alla media attuale. In questo senso i dati mostrano un miglioramento: tra il 2013 ed il 2020 la quota di ventenni che ha raggiunto un livello di istruzione terziaria è aumentata dal 31% fino al 41%. 

Imprese in Italia e tassi di interesse al rialzo

Sul fronte delle imprese in Italia, la liquidità si è attestata a circa 120 miliardi di euro, 10 miliardi in meno rispetto alla fine del 2021 anche se i margini delle aziende sono migliorati notevolmente nel 2022 raggiungendo il 43,1% del valore aggiunto lordo, fornendo un cuscinetto contro l’impatto dell’aumento dei tassi sui prestiti bancari.

Da un picco del 155% del 2020, nel 2022 il debito pubblico italiano in rapporto al PIL è diminuito arrivando al 144,4% anche grazie agli effetti dell’inflazione e secondo la previsione economica italiana di Allianz Trade, il servizio del debito pubblico si ridurrà solo temporaneamente nel 2023 al 3,7% del PIL, ma aumenterà nuovamente nel 2024-2025 fino a circa il 4,2% del PIL.

Il rapido aumento dei tassi di interesse ha portato ad un rallentamento per la crescita del credito sollevando preoccupazioni sulla sostenibilità del debito e sta avendo un impatto significativo sugli investimenti e sui consumi. Nonostante il Tesoro abbia assicurato scadenze sempre più lunghe volte a ridurre i rischi di rifinanziamento, la questione rimarrà sotto i riflettori soprattutto dopo il 2026. 

Fatturati delle aziende italiane e aiuti alle imprese

Dopo aver raggiunto il suo massimo storico nell’ottobre 2022, la pressione inflazionistica ha iniziato a diminuire grazie alla riduzione dei costi legati a energia e materie prime, e si prevede una media del 5,9% nel 2023 che scenderà al 2,2% nel 2024, in forte calo rispetto all’8,2% del 2022.

Ad una diminuzione delle pressioni inflazionistiche però non corrisponde un decremento dei prezzi che invece continuano a salire per beni e servizi e che alimentano preoccupazioni in merito ad un’inflazione di lungo periodo.

La liquidità delle famiglie è in diminuzione, con un tasso di risparmio sceso al minimo storico del 7,3% del reddito disponibile a fine 2022, ma grazie alle misure di sostegno del governo come i crediti d’imposta per l’efficienza energetica degli alloggi (“superbonus” e “bonus facciate”) e i progetti legati al PNRR, stiamo assistendo ad una mitigazione dell’impatto dei prezzi elevati dell’energia e ad una notevole spinta agli investimenti.

Aiuti anche alle imprese grazie ai 191,5 miliardi di euro stanziati dal progetto Next Generation EU di cui l’Italia è il primo beneficiario. E se nei primi anni del programma l’attivazione degli investimenti è andata a rilento e continua ad essere presente il timore di potenziali ritardi, tra il 2024 ed il 2025 è previsto un picco di spesa del valore di 45 miliardi su cui solo la pubblicazione della nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (NADEF) e la definizione della legge di bilancio per il 2024 potranno fare maggiore chiarezza.